”Le transazioni a favore di mio padre avvenivano tutte tramite i conti e le cassette dello Ior.’ ‘
Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, arrestato per la prima volta nel 1984 per associazione mafiosa. Promotore di una delle più grandi speculazioni edilizie di tutti i tempi “il sacco di Palermo”. Un progetto voluto da Vito Ciancimino e dalle cosche mafiose a lui facenti riferimento, prevedeva una cementificazione di massa della città di Palermo senza il minimo rispetto del piano regolatore e dell’ambiente.
Tipico della misteriosa storia della prima repubblica, le vicissitudini dello ior sono tuttora un enigma, dalle indagini sono emerse poche cose, dinamiche ancora offuscate e colpevoli non certi. Ancora più prive di chiarezza, in Italia, sono le vicende del Vaticano, velate da una sorta di autocensura, un silenzio quasi omertoso che si cela attorno ai giardini e ai palazzi rinascimentali vaticani.
Eventi come la morte di Michele Sindona, beniamino della Chiesa e banchiere della primissima banca che scelse il vaticano per trasferire in assoluta segretezza miliardi di lire nei vari conti segreti offshore, in un carcere di massima sicurezza con un caffe corretto al cianuro non passano inosservato.
O eventi come quello del ”suicidio” di Roberti Calvi, successore di Sindona, diventato presto noto per il crack del banco Ambrosiano (la sua banca), fallimento che fece perdere il sonno a molti italiani ma soprattutto al suo investitore principale, il Vaticano. Fuggito a Londra con ben otto voli differenti, fu trovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra, con se aveva tutti i suoi averi, un orologio dal valore di €100.000, 14.000 franchi svizzeri e un passaporto falso. Ma non la sua inseparabile valigetta nera, contenente documenti compromettenti per il vaticano. Insomma suicidio o meglio dire suicidato?
”I titoli passati allo Ior sono il risultato di pagamenti di tangenti a
uomini politici, per importi certamente tornarono a loro
in forma pulita”
Lettera di Angelo Caloia al cardinale Angelo Sodani, segretario di stato del Vaticano.
Ma partiamo con ordine. L’Istituto per le Opere di Religione, abbreviato Ior, fu ideato per la prima volta da Papa Pio XII per investire le poche entrate dello stato vaticano SOLO al fine di avere a disposizione più fondi per le attività della chiesa cattolica. La Santa Sede sarebbe stata la maggiore azionista, incassando generosi dividendi sugl’utili. Viste le ingenti tassazioni che lo stato italiano imponeva allo Ior su questi, gli investimenti si spostarono verso società estere. La banca del Vaticano iniziò presto ad aprire società ”fantoccio” nei paradisi fiscali rendendo così impossibile scoprire che quelle società erano legate al Vaticano. Sulla carta gli investimenti continuavano a essere svolti in Italia, ma a farlo sono società che con lo Ior non hanno nessuna connessione. Gli incassi, infine, sarebbero stati poi giunti di nuovo alla Santa Sede tramite donazioni, quindi senza alcuna tassazione.
Ed è in questa situazione che la banca del Vaticano si affida a Michele Sindona, solo anni dopo si scoprirà essere in stetti rapporti con cosa nostra e affiliato con la loggia massonica più influente del tempo, la P2.E’ l’inizio della fine.
Proprio con i soldi della mafia, Sindona, fonda la sua banca, la Banca Finanziaria Privata. La collaborazione avviene grazie alla nuova presidenza dello Ior con Paul Marcinkus, figura chiave della vicenda. I due si trovano da subito molto in sintonia, vista l’abilità di Sindona nel gestire conti esteri in paradisi finanziari. Gli anni sessanta, per Sindona, furono un tripudio di affari, creando una rete che collegava USA, Vaticano e Italia. Consulente personale del boss italo/americano Joe Adonis, della famiglia di Vito Genovese (cosa nostra newyorkese) il banchiere messinese, Michele Sindona, trova da subito il miglior modo per riciclare i capitali della mafia. Compra la banca svizzera Finabank, già del Vaticano e conquista la stampa americana grazie ai successi finanziari con il presidente della CIBank David M. Kennedy diventato successivamente ministro del Tesoro del governo Nixon. Si affilia alla loggia massonica P2, tessera n. 0501, di Ligio Gelli. Definito da Giulio Andreotti ”il salvatore della lira”, Sindona controlla la più massiccia esportazione di capitali mai avvenuta sino ai caveau della Swiss Bank, in società con la Santa Sede. Seguono infinite serie di alchimie finanziarie con i beni del vaticano per eludere il fisco, fanno da cornice i finanziamenti alla Democrazia Cristiana per varie campagne. Fu cosi che il finanziere siciliano utilizzava le finanziare compartecipate dal vaticano ei conti della Santa Sede presso la sua banca per trasferire i soldi della mafia. Con il governo in stallo gli affari continuarono a gonfie vele, ma non per molto. A causa delle elevate perdite e dai conseguenti controlli da parte delle forze dell’ordine italiane, Sindona dichiaro bancarotta nel 1974, con un ammanco di due miliardi di dollari per la Franklin e 300 milioni quelle della Banca Privata, con l’avvocato Giorgio Ambrosoli liquidatore , 82 milioni di dollari per il solo cambio estero della Finbank. Esaminando con cura i documenti, Ambrosoli, si rende conto di avere qualcosa di molto più grossa di una semplice liquidazione, fin da subito gli furono offerte ingenti somme di denaro per chiudere le indagini. Al contrario, però, questi tentativi di corruzione danno al liquidatore una motivazione più a continuare. La situazione per Sindona è irreversibile. Nell’80 viene dichiarato colpevole di ben 65 capi di accusa, con una pena che ammonta a 25 anni di carcere. Intanto, in Italia, viene scoperto l’elenco degli affiliati alla loggia massonica Propaganda Due di Ligio Gelli. Si innesca lo scandalo della P2 che porterà alla crisi di governo. Per prevenire ulteriori fuoriuscite di informazioni scomode, che avrebbero dovuto aggravare ulteriormente la situazione di Sindona, viene organizzato l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, ammazzato a Milano da un killer di Cosa Nostra. Il mandante fu Sindona. Fu condannato all’ergastolo,per poi essere estradato in Italia nel carcere di Voghera dove morì dopo aver bevuto un caffè corretto con un grammo di sali di cianuro e 53 ore di coma. Sette mesi dopo il suo decesso, il giudice De Donno dichiara:
<<Non dover promuovere l’azione penale, essendosi trattato di un suicidio.>>
